La cosa più difficile da far comprendere e accettare alle aziende che investono (o intendono a farlo) in pubblicità online è un concetto di una banalità disarmante: ad acquistare sono persone. Umani.
Nella loro testa è chiaramente scontato, ma al tempo stesso sfugge loro tutta una dinamica correlata, fatta di tempi, modi, percezioni, gusti, desideri, ecc. ecc.
Siamo diversi l’uno dall’altro (per fortuna), ma a volte lo si dimentica.
Il fatto che si stiano spendendo 1000 o 10000 euro al mese in pubblicità, non cambia la sostanza di tutto questo.
Le persone non cambiano, agiscono (quasi) sempre alla stessa maniera, in funzione dei loro tempi, modi, percezioni, ecc. ecc.
Certo più budget abbiamo a disposizione e più possibilità abbiamo di creare una strategia maggiormente strutturata, ma questo è un altro discorso.
Per cui puoi investire quanto vuoi, le persone continueranno ad acquistare quando dicono loro e come dicono loro.
Quindi se da un lato è comprensibile che si abbiano delle aspettative, dall’altro occorre però prendere coscienza di tutta una serie di fattori che nel bene e nel male incideranno sul raggiungimento del risultato.
Cosa fare dunque per poter arginare questo diffuso fenomeno di incomprensione?
Per me, e sottolineo per me, c’è una sola strada: spiegare come stanno veramente le cose.
Qui però entrano in gioco altri fattori, come ad esempio il timore di “perdere” il cliente ancor prima che esso diventi tale.
Questo pericolo è reale, ma secondo me esiste nel momento in cui non si ha una reale conoscenza del mondo dell’advertising online, si conoscono le cose per sentito dire e quindi si resta sulla superficie della questione.
Dal mio personale punto di vista, se si conosce a fondo un argomento, si riesce anche a stimolare l’interesse, senza dover per forza ricorrere a bugie bianche o mezze verità.
Non sto dicendo che è facile ma possibile. E rinunciarci in partenza lo ritengo sbagliato.
So che qualche sales manager storcerà il naso di fronte a questo mio punto di vista, probabilmente lontano dalla sua cultura, ma tant’è, come dicevo prima, siamo tutti diversi l’uno dall’altro.
Per fortuna.