Massimo Zambrano

Il funnel è morto? No, si è fatto ciambella. Ecco dove spariscono i lead.

C’era una volta il funnel: un cono ideale in cui buttavi traffico freddo in cima e, dopo qualche colpo di remarketing, ti ritrovavi clienti fumanti in fondo al filtro. Oggi, invece, ascolti l’eco del budget che rotola e precipita nel vuoto, proprio come le monete nel salvadanaio di Fantozzi. Il motivo? Il funnel non è morto, si è solo arruolato in pasticceria: si è trasformato in una ciambella, morbida e invitante, ma con un buco nel mezzo largo abbastanza da far sparire ogni buon proposito di ROI.

Secondo l’ultimo State of Inbound di HubSpot, nel 2024 il 61 per cento dei lead scompare dopo il primo opt-in; dieci anni fa erano “solo” il 37. È il cosiddetto “drop-off cosmico”, la terra desolata del ghosting dove le mail restano non lette e i click-through oscillano intorno allo 0,3 per cento. Gartner rincara la dose: nei cicli B2B la decisione d’acquisto richiede in media 67 giorni – praticamente il tempo necessario perché la tua campagna esca dall’apprendimento e il CFO ti chieda perché “quel pixel frigna più di un neonato in economy class”.

La metafora della ciambella funziona. Il viaggio dell’utente non è più lineare: entra da Instagram, sbircia su TikTok, legge una recensione su Trustpilot e, se tutto va bene, torna da te per un coupon “Benvenuto-bis” che gli promette il 30 per cento di sconto. Intanto, ad ogni salto tra i touch-point, perdi qualche briciola di glassa: un dato, una preferenza, un briciolo di attenzione. Nel frattempo il Pixel di Facebook piange in un angolo, ridotto a giocare con i cookie che Chrome gli lascerà nascondere ancora per pochi mesi.

«Abbiamo bisogno di meno cacciatori e più pasticcieri», confessa l’Head of Growth di una scaleup fintech durante una riunione che somiglia più a uno sketch di Corrado Guzzanti che a un meeting strategico. Il CEO sgrana gli occhi: «In che senso?». E il CFO, con la faccia di chi ha appena perso una mano di burraco, sussurra: «Basta che non mi vendiate un forno da un milione…».

Il paracolpi, dicono gli ottimisti, sta nell’onboarding. Entro 48 ore dal primo acquisto bisogna servire all’utente un video “Ciao Nome, qui c’è la tua ciambella ancora calda”, chiedergli tre micro-azioni – completare il profilo, rispondere a un rapido quiz, lasciare un primo feedback – e premiarlo con un perk reale. «La sorpresa tattile batte la notifica push», ricorda una ricerca di Harvard Business Review: un gadget fisico sopra i 300 euro di spesa raddoppia il Lifetime Value medio. E se la tua azienda non vende caffettiere o scarpe ma software as-a-service, niente panico: il regalo può essere un workshop esclusivo o l’accesso a una community in cui i clienti stessi diventano speaker, moltiplicando i referral.

Nel frattempo cambiano anche i KPI. Il caro vecchio CPL lascia spazio al Cost per Smile, una metrica politicamente scorretta ma sorprendentemente predittiva: più alto è il punteggio di “prima impressione” – misurato con emoji, reaction e risposte spontanee – più lunga sarà la relazione. Al posto del ROAS giornaliero, i growth marketer più scafati guardano al Revenue Lag a 90 giorni, l’onda lunga generata dalla retention. E nei dashboard compare un indicatore nuovo di zecca: la percentuale “Buco-Free”, ovvero quanti contatti svolgono almeno tre azioni dopo l’acquisto.

Naturalmente resta chi sogna ancora il funnel conico. «Mandiamogli un’ultima DEM e speriamo», sospira ogni mese qualche C-level sovraeccitato. Il risultato è un e-commerce ingolfato di codici sconto, margini che evaporano e utenti che vanno a caccia dell’offerta del giorno come se fosse il Black Friday permanente. Nel mondo a ciambella, invece, il prezzo-shock è l’ultima spiaggia: meglio offrire un upsell di valore, un plugin esclusivo, un’estensione di garanzia. Non si tratta di regalare la glassa: si tratta di convincere il cliente che vale la pena restare a colazione.

E se proprio vuoi un numero per calmare il CFO, tieni questo: nelle aziende che praticano un “ciambella-thinking” maturo, la componente di fatturato ricorrente cresce del 22 per cento anno su anno (dati Bain & Company). Gli ex-lead, diventati membri della community, spendono in media il doppio nei 12 mesi successivi all’onboarding. Non male per un impasto di farina, uova e marketing relazionale.

A conti fatti, quindi, il funnel non è da rottamare; ha solo cambiato forma e chiede un band perimetrale attorno al buco. Gli inglesi lo chiamano customer flywheel, ma noi italiani – che con il cibo ce la caviamo – possiamo tranquillamente parlare di ciambella. L’importante è ricordarsi di friggere a temperatura costante – esperienza coerente – e spolverare di zucchero a velo – humour e utilità – prima di servire. Se non lo fai, sentirai di nuovo quello strano tonfo sordo: sono i tuoi lead che precipitano nell’oblio, uno dopo l’altro.

E adesso scusami: devo andare a tappare il mio, di buco. Se ti serve un tutorial o, meglio ancora, una graffa calda, sai dove trovarmi. Portati il CRM: lo riempiremo di ripieno, non di aria fritta.

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